"Il vino come espressione del territorio, della sua storia e della sua cultura", quando questa espressione viene rivolta alle Cinque Terre, che dall'uomo sono state scavate a terrazze per recuperare spazi utili alla viticoltura, allora essa assume un profondo e pognante significato; è in questo spirito che il Parco nazionale delle Cinque Terre e l'omonima cooperativa agricola (che si dedica ad attività all'insegna del biologico e dell'alta qualità) hanno deciso di concentrare la loro attenzione sugli storici vitigni del comprensorio.
Rossese, Piccabon, Bruciapagliaio e Frappelào, che vinificati come bianchi già nel Medioevo resero celebri le Cinque Terre, sono infatti i protagonisti dell'esperimento di recupero che, con gli sforzi della cooperativa agricola (attiva in tal senso fin dagli anni '80) e un notevole investimento tecnico e scientifico è già giunto alla riproduzione in vitro di qualità di vite ritenute estinte. Messe a dimora due anni fa le prime ottocento piante raddoppieranno di numero quest'anno, grazie alle gemme ricavate dalla scorsa potatura e fatte germinare.
I primi tentativi di vinificazione si terranno il prossimo anno e serviranno soprattutto a valutare le caratteristiche tecniche e organolettiche dei singoli vitigni e dell'uvaggio nel suo insieme e verificare la qualità e bontà di vini antichi recuperati grazie alle moderne tecnologie. La battaglia per riconquistare i vitigni storici può considerarsi l'ultimo, vittorioso atto della lotta della viticoltura europea contro la Filossera, infestazione che nel diciannovesimo secolo costrinse all'ibridazione con la vite americana, portando così alla perdita di molta "biodiversità" vitivinicola.